Rieccomi. Marzo, al ritorno dal lavoro i raggi del sole sulla linea dell’orizzonte trasmettono lingue di fuoco nell’aria stanca di Osaka. Dal sesto piano degli uffici guardo in direzione di Kobe e per un attimo dimentico di trovarmi sulla Terra. I colori richiamano il cocente inferno, le sensazione il mite paradiso. La realtà è che sono le 5 ed è ora di tornare a casa.
Al mattino mi sveglio e dopo aver superato lo shock termico dei 6 gradi in camera mia vengo accolto da qualcosa di nuovo quest’anno: gli uccellini. In un qualche luogo a me misterioso essere piumati capaci della magia del volo stanno tentando di spiegarmi che il loro viaggio è terminato e che sono arrivati per portarmi il messaggio della primavera.
È ancora freddo ma le giornate si allungano e pian piano la pesante sciarpa che mi ha tenuto compagnia per tutto l’inverno diventa superflua. I guanti di lana indispensabili per girare in bici per le strette stradine di Osaka sono ancora necessari ma tra poco anche loro troveranno posto nell’armadio vicino alla sciarpa. Approfitto delle miti temperature pomeridiane per mettermi in salotto e scrivere nel mio blog che riflette il ritmo del mio letargo invernale. Le porte scorrevoli in vetro e legno del salottino al primo piano sono aperte e attraverso le porte-finestra esterne si vede il giardino interno della nostra casetta. Un giardino povero, spoglio, poche piante con poche foglie opache che si lamentano dell’inverno appena trascorso. Una lanterna al centro. Quattro piedi che sorreggono una struttura centrale dove viene posta la luce, coperta da un tetto che ricordo quello di un fungo di dimensioni enormi. Massi sparsi per costruire un piccolo sentierino che conduce dal salotto al corridoio esterno collegato con la piccola stradina all’entrata della casa. Il solo di tanto in tanto fa capolino regalando colori sconosciuti sotto il regno delle nuvole. 5 metri di lato di giardino imprigionato tra le mura degli edifici esterni. 25 metri quadri di verde in mezzo alla grigia Osaka. Un angolo di verde osservabile da un luogo privilegiato: il piccolo salottino. I colori del salotto richiamano quelli del giardino. Il legno di cui è costruito al salotto sembra volere ricordare ai pochi arbusti del piccolo giardino la nobile funzione che questo materiale ricopre quando propriamente usato. Il vetro usato per le porte, semplice e essenziale, assolutamente in contro corrente con gli sviluppi della tecnologia sembra voler ricordare i colori della pioggia nei giorni più grigi dell’anno.
L’immagine che si ottiene dal piccolo salotto guardando verso il giardino è in realtà un riflesso. Un riflesso di come la realtà può assumere aspetti differenti e di come la natura non sia per forza qualcosa contro cui l’uomo ha una partita aperta. Il modo in cui è costruita questa casa non distingue tra dentro e fuori. Uomo e natura, tecnologia e artigianato si miscelano in colori e sensazioni che trovano il punto focale in quell’elemento che a prima vista può sembrare inutile: il piccolo giardino interno.
In questa piccola casa; due piani, 6 camere, una cucina, un bagno e un salotto, trovano alloggio 9 persone. Nove esseri umani con i loro bisogni, i loro desideri ed i loro sogni. Uno spazio ridotto, molto ridotto per così poche persone. Delle formiche in quel grande formichiere che è l’intera città di Osaka. Un fiume di piccole formiche nere che ogni giorno si dirige al lavoro seguendo strade definite e demarcate. E alla sera, quando cala l’oscurità, trova alloggio in piccole case sparse nel grande formicaio che si estende lungo la baia. In questa casa 9 piccole formiche vivono in modo compatto e ordinato. Nessuna delle formiche è più importante delle altre. Non c’è né re né regina, nessuna gerarchia di potere, nessun tipo di organizzazione. Non è una democrazia e neppure un’anarchia. È una sorta di intesa reciproca tra persone che hanno deciso di condividere uno spazio comune e di costruire il proprio futuro rispettando quello degli altri. Non ci sono cene organizzate tra gli inquilini, nessuno è il responsabile delle pulizie o degli acquisti comuni. Non esistono votazioni per decidere quando è necessario fare certi lavori. Lo si intuisce discutendo. L’uomo ha impiegato millenni per sviluppare la capacità della lingua eppure sembrerebbe essersi dimenticato della capacità di parlare dopo avere scoperto che le stesse parole possono essere messe su carta tramite la scrittura. Fiumi di e-mail, messaggi, rapporti quando la parola sarebbe molto più appropriata e diretta nel trasmettere i messaggi. Specie se si tratta di esprimere opinioni e sentimenti che solo la voce, tramite cambiamenti impercettibili nel tono, è in grado di fare. Ed è in questo modo semplice che si trovano gli accordi in questa piccola casa. Richiede tempo, pazienza, ma i risultati portano ad un beneficio comune, incomprensibile a chi non ne ha provato l’efficacia.
Spesso quando parlo della casa dove vivo giapponesi e non mi chiedono: “In quanti siete?”. Io ci penso un attimo, passo stanza per stanza nella mente e conto uno ad uno i miei coinquilini. Faccio di nuovo un controllino veloce nella mente e concludo con: “Siamo in 9.”.
“In 9!?” risponde il mio interlocutore. A sentirmelo dire anche a me non sembra vero. Come è possibile che 9 persone possano vivere in una casa tanto piccola. Facciamo lavori differenti, è vero. C’è chi lavora la notte, chi finisce tardi la sera e chi inizia presto il mattino. Molti lavorano il weekend e alcuni di fatto sono a casa solo per dormire. Se la si pensa in questo modo la cosa sembra meno speciale, eppure rimane il fatto che 9 persone condividono lo stesso tetto, usano lo stesso bagno e vi ritornano ogni giorno per dormire, indipendentemente dall’ora di cui si tratti. Mettere così tante persone in un luogo così piccolo in mezzo ad una città così edificata e densamente popolata ed essere ancora capace di parlarne bene sembra quasi un contro senso. Certo, nella storia e nel mondo ci sono stati esempi anche più estremi. Basti pensare a tutte le baraccopoli sparse per il mondo o ai vari campi di concentramento che sembrano non appartenere ad un’epoca particolare quando alla crudeltà dell’uomo. Eppure nel mio caso, anche se ovviamente le condizioni sono differenti, ne sto parlando bene. Un piccolo angolo di paradiso è il mio giardino ed un castello questa piccola casa. Niente che rispecchia i dati oggettivi circa la densità di popolazione di Osaka o i vari indicatori usati da chi ama la statistica.
Durante il mio rientro in Svizzera per Natale mi è capitato di parlare con un amico architetto che da qualche tempo collabora con l’accademia di architettura nell’assistere gli studenti in vari progetti. Con passione mi ha presentato uno dei lavori che sta portando avanti al momento. In pratica è stato preso in esame in piano dove in mezzo ad un prato verde sono state costruite un paio di case sparse a caso. Agli studenti è stato dato il compito di riempire il piano in modo da creare diverse abitazioni senza però influenzare in modo negativo la qualità di vita degli occupanti. Il risultato è stato quello di una densa rete di piccole case vicine una tra loro con angoli di verde disposti in maniera ben studiata e con spazi in comune allo scopo di creare una comunità. A prima vista ho trovato interessante il progetto, ma, in modo un po’ scettico mi sono chiesto se la cosa sia veramente realizzabile. È stato solo oggi che, guardando il mio piccolo giardino circondato da edifici, ho realizzato che in un progetto del genere ci stavo già vivendo.
Inizio così a capire la genialità dell’architettura giapponese tradizionale che è stata capace di realizzare città densamente popolate formate da case in armonia con il paesaggio (anche se urbano) e il senso di comunità, regalando così una buona qualità di vita nel rispetto della natura. Rispetto che viene maggiormente rafforzato dal fatto che la natura è libera e selvaggia fuori dai centro popolati, senza essere disturbata da casette che disturbano il paesaggio senza neanche regalare grandi vantaggi in termini di qualità di vita agli inquilini.
Chiudo la porta del salotto, accendo la stufetta e penso a come finire questo post. Ora guardo le porte opache con riflessi grigi color pioggia. Lo specchio del giardino è scomparso. Non rimango che io, penso; una piccola formica nel suo formichiere. Il piccolo animale nella grande casa. La natura è ora dentro. Oppure è come sempre fuori. Non c’è differenza, penso; lo specchio esiste anche a porte chiuse.
Claudio
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